Stasera i Baustelle al Siren, la recensione del live di Pescara

In attesa di raccontarvi il live dei Baustelle, e non solo, stasera al Siren Festival di Vasto, vi ripropongo il resoconto del loro live di aprile a Pescara, che scrissi a suo tempo per una testata locale. La scaletta di stasera sarà la stessa?







Entri nel Teatro Massimo gremito all’inverosimile e ti rendi conto subito che la definizione di pop dei Baustelle non è esattamente quella a cui siamo ormai abituati dall’appiattimento culturale a cui talent e programmi televisivi hanno ridotto la musica. L’accezione di pop nell’immaginario Baustelle è più quella nobile della pop art degli anni ’60 e ’70, decadi a cui i nostri si rifanno in modo quasi ossessivo, anche se i riferimenti anche ai due decenni successivi non mancano; e, a testimonianza di ciò, la scenografia che ci si trova subito di fronte, l’elegante logo“Baustelle” che campeggia sullo sfondo rimanda senza meno alle tipiche grafiche degli anni ’70, e il muro di sintetizzatori che dominano la scena pur rimanendo alle spalle, con tanto di mellotron, fanno pensare a un curioso miscuglio di studio televisivo d’epoca con un live di Emerson, Lake & Palmer.

Francesco Bianconi, il deus ex-machina, Rachele Bastreghi, l’affascinante voce femminile e Claudio Brasini, chitarrista concreto e importantissimo nel loro equilibrio, si dividono equamente il palco, elegantissimi, con il resto della band, bravissimi turnisti, alle spalle. Bianconi gioca con l’immagine che i media, e lui stesso, gli hanno affibbiato, ovvero quella del dandy, poeta maledetto dal fascino cupo e ombroso. Magrissimo, se ne sta al centro del palco e canta con un timbro che dal vivo è ancora più caldo e profondo che in studio, al di là di qualche imprecisione nel canto che, paradossalmente, aggiunge il fascino dell’imperfezione a un contesto che rischia di peccare proprio per asetticità, a prima vista. A prima vista, già, perché la musica dei Baustelle tutto è, fuorché asettica e, anzi, è proprio un susseguirsi di emozioni, dall’amore cantato in modo anticonvenzionale e un sentimento di pietas per gli ultimi, per le vite marginali che fa pensare a De Andrè, a farla da padrona.

La scaletta del concerto privilegia ovviamente “L’amore e la violenza”, l’ultimo lavoro uscito a gennaio che viene proposto per intero e nell’ordine della tracklist. Ed ecco così prendere vita davanti a noi “Amanda Lear” e “Eurofestival”, coi loro ritornelli che richiamano il Battiato pop degli anni d’oro, lo splendido ritratto di una ragazza oggi con “Betty”; le belle prove cantautoriali di “Lepidoptera” e “Ragazzina” e la struggente “La vita”, dal ritornello portatore di una melodia perfetta da cantare in coro, come puntualmente accade. Fondamentale l’apporto di Rachele, che spesso abbandona la postazione alle tastiere e porta un tocco di dinamismo prendendo il centro della scena, e di Brasini, che arricchisce “Eurofestival” di una trascinante coda chitarristica.

Dopo una breve pausa, la seconda parte del live è dedicata ai successi storici del gruppo, da energiche riproposizioni di “Charlie fa surf” e “La guerra è finita” a una splendida versione spogliata del lato pop di “Bruci la città”, dai cult “Romantico a Milano” e “Gomma”, fino a “La canzone del parco”, sempre da brivido anche in versione live.
A sorpresa Bianconi e soci nei bis eseguono un pezzo inedito, “Veronica N°2”, lasciando un po’ spaesati i fan, prima di chiudere trionfalmente con “La canzone del riformatorio”.

Il concerto si conclude con gli interminabili applausi del pubblico e la sensazione di aver avuto la fortuna di assistere all’esibizione di un gruppo ormai fondamentale per il pop d’autore italiano.

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