I Dischi Oscuri: Affinity - S/T (1970)

 


E rieccoci alla rubrica dei Dischi Oscuri, quei capolavori minori nascosti nelle pieghe della storia del rock, schiacciati tra i grandi nomi e perciò sconosciuti ai più; come sempre, la zona di pesca privilegiata è quella tra il '65 e il '75. Già, perché è soprattutto la storia del rock psichedelico e progressivo a essere popolata di queste leggende minori, piccole band che arrivarono, spesso con grandi difficoltà, a incidere un solo album (era un'epoca in cui non bastava un PC e un po' di buona volontà per incidere un disco), magari anche incensato dalla critica, per poi sparire nel dimenticatoio; c'era chi rinnegava il passato rock per intraprendere normali carriere, chi veniva folgorato da crisi mistiche o dal disgusto per il music business, e chi, capendo di non avere un'individualità artistica abbastanza forte per avere successo in quel mondo, continuava comunque a suonare come turnista.Rientrano un po' in tutti queste categorie i musicisti che, nel 1970, diedero vita a uno dei dischi più rari della Vertigo, gloriosa etichetta prog del periodo, ovvero gli Affinity, un lavoro ancora oggi di culto tra gli appassionati del passaggio che porto dalla psichedelia al tanto vituperato progressive.Il primo nucleo del gruppo si formò nel 1965 a Brighton, quando  Lynton Naiff (tastiere), Grant Serpell (batteria) e Nick Nicholas (basso), tre studenti appassionati di jazz, si unirono per dare sfogo alla loro passione. Quando Nicholas abbandonò per seguire una carriera più rassicurante, fu sostituito da Mo Foster, e, con l'aggiunta del chitarrista Mike Jopp, i quattro decisero di dedicarsi a quella particolare commistione di psych, blues, soul e jazz che di lì a poco avrebbe dato vita al prog, e si misero alla ricerca di una voce solista. La scelta cadde provvidenzialmente su Linda Hoyle, vocalist dalle eccezionali capacità, che diede la svolta alla storia del gruppo, nel bene e nel male. Dopo una lunga gavetta live in giro per tutta l'Inghilterra, nel '70 arriva il momento di incidere il loro debutto. L'etichetta è appunto la Vertigo, e il risultato lascia ancora oggi esterrefatti, una quarantina di minuti in perfetto equilibrio tra tutte le influenze del gruppo, jazz, soul e rock che convivono nella personalissima voce della Hoyle, che ricorda a volte Grace Slick ma rappresenta sostanzialmente un unicum nel genere, negli sterminati solo di Hammond di Naiff, tra Jimmy Smith e i Doors, nei misurati contributi alla chitarra di Jopp e nell'irresistibile tappeto sonoro srotolato da Serpell e Foster. Non c'è un solo pezzo debole, ma la parte del leone la fa sicuramente la stravolta versione di All Along The Watchtower, il capolavoro di Dylan già trattato a suo modo da Hendrix qualche anno prima; una cavalcata di quasi dodici minuti dominata dall'imperioso organo di Naiff.L'album ebbe lusinghiere critiche e un buon riscontro di vendite, con conseguente tour, ma, quando il materiale per il seguito iniziava a prendere corpo, arrivò l'improvviso tracollo; Linda Hoyle decise di abbandonare, disgustata dal mondo del music business, lasciando i compagni nell'impossibilità di rimpiazzarla, costretti a ripiegare su carriere di turnisti o su lavori solisti assolutamente trascurabili.A noi rimane però, dopo quarantasei anni, una delle gemme meglio nascoste e conservate di quell'irripetibile periodo musicale.

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