Live: Dago Red


Raramente su questo blog si parla di live, essenzialmente perché il panorama della mia città a livello musicale risulta in genere assai desolante. Voglio fare un'eccezione per un piccolo concerto a cui ho assistito sabato scorso presso la Fondazione Pescarabruzzo, con la valida organizzazione dell'agenzia Maria Eventisolari. Parlo del live dei Dago Red, formazione locale di folk blues che vanta riconoscimenti ed un suo piccolo seguito a livello europeo. I Dago Red, il cui nome è mutuato dai racconti del grande John Fante, si dedicano ad un blues che si pone sempre sul confine del più classico e rurale downhome, con quello urbano della Chicago dei primi '50, irrorato da un filo di elettricità, ma ben lontano dalle muscolari esibizioni di Buddy Guy e Otis Rush, le stesse che daranno la stura a schiere di guitar hero del rock. La strumentazione del gruppo, sulla breccia dal 1998, si presenta perfettamente ortodossa riguardo al periodo di riferimento: contrabasso, batteria, una chitarra acustica e una elettrica(unica concessione a strumenti non acustici) e due voci, maschile e femminile. Il set della band, con vigorosi inserimenti folk e country, va in crescendo, tanto che il pubblico della Fondazione, per la verità di età media non proprio verdissima, e abituato a jazz canonico o addirittura lirica, inizialmente freddino, si fa trascinare fino addirittura a tenere il tempo sulla celebre Got my mojo workin'. Il repertorio va da standard blues, Walk On, Baby What You Want...(di Jimmy Reed, ma fatta sua anche da Elvis), Good Morning Blues, My Babe, a pezzi country-folk sulle tracce di Neil Young e del Mark Knopfler più roots, dove i Dago Red inseriscono anche qualche composizione propria, che non sfigura nell'impegnativo confronto. Particolarmente brillante, a mio parere, la rilettura lenta e ipnotica di Irene Goodnight. Sugli scudi il chitarrista Nicola Palanza, i cui interventi alla Gibson semi-acustica brillano per misura e pertinenza, e per il timbro cristallino e mai distorto, incrocio tra Jimmy Rogers e Hubert Sumlin, passando per lo swing di un Pee Wee Crayton. E menzione speciale anche per la vocalist Paola Ceroli, dal timbro piacevolmente pulito e mai sopra le righe, il cui innesto nella band ha donato un colore in più, come si è visto in particolare nell'ottima rilettura di I'm Ready.
Vi posto due video, purtroppo di repertorio, visto che il Vostro prode narratore era sprovvisto di videocamera!

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